PENULTIMATE LANDSCAPE AT THE END

"Life is whatever we make it. The traveler is the journey. What we see is not what we see but what we are.”

Fernando Pessoa - The Book of Disquiet


"Penultimate landscape at the end" is a photographic project started in 2012 and carried out in the same places where the photographer lived. Through this work the author approaches a classical theme for photography: What is landscape? And again, what does make the landscape a landscape? In this case it was the same figure of the photographic witness to give a response. The landscape in fact arises where there is a partial interpretation of reality, in other words it is the result of the intervention of an observer within a context: as if to say that you don't just see the landscape, but "you live it" every time you look at it, and this act of seeing makes it ever new. To highlight this, the author avoids an objective and descriptive sight and enhances her interpretive role through an unconventional use of the camera, thus returning a vision as personal and evocative. The project becomes an intimate journey into consciousness: some extension of the photographic exposure, almost like an extension towards the past or the future in a human memory, and some images of small details like reminders of life and moments out of time. Since the landscape includes personal meanings and emotions, which are also subject - together with the photographer - to a change over time, the landscape is intended never to be definitive, but perennial "penultimate". The project was shot in 120 film format with Lomo camera (Diana).

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PENULTIMO PASSAGGIO IN FONDO

" È in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo; se li creo esistono; se esistono li vedo. [...] La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo.”
Fernando Pessoa - Il libro dell'inquietudine

“Penultimo paesaggio in fondo” è un progetto fotografico iniziato nel 2012 e realizzato nei luoghi stessi in cui la fotografa ha vissuto. Attraverso questo lavoro l'autrice si confronta con una tematica classica per la fotografia: cosa è il paesaggio? E ancora: cosa rende il paesaggio, un paesaggio? In questo caso è stata la stessa figura del testimone fotografico a indirizzare verso una risposta. Il paesaggio infatti si pone laddove vi è un'interpretazione parziale della realtà, esso cioè è il frutto dell’intervento di un osservatore all’interno di un contesto. Come a dire che il paesaggio non si vede soltanto, ma “si vive” ogni volta che lo si guarda e questo atto lo rende sempre nuovo. Per evidenziare questo, l'autrice rinuncia all'oggettività di una visione nitida e descrittiva ed esalta il suo ruolo interpretativo attraverso l'uso della macchina fotografica in maniera non convenzionale, restituendo così una visione quanto più personale ed evocativa. Il progetto diventa un intimistico viaggio nella coscienza: ai prolungamenti dell’esposizione fotografica, quasi come fosse la memoria umana ad estendersi verso il passato o il futuro, si aggiungono delle immagini di piccoli particolari, richiami di vita e attimi fuori dal tempo. Poiché il paesaggio include significati ed emozioni personali, anch’essi soggetti - insieme al fotografo - a cambiamenti nel corso del tempo, esso è destinato a non essere mai definitivo, bensì perenne “penultimo”. Il progetto è stato scattato in formato pellicola 120 con macchina fotografica Lomo (Diana).
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